Quale città vogliamo?



Questo post è difficile, mentre lo scrivo ho appena letto che due posti unici in una città meravigliosa chiuderanno e non perché la loro vita normale era giunta al termine ma perché obbligati da scelte scellerate fatte da altri.

Le città sono vive, mutano e cambiano come ogni essere vivente. La vita cambia e così cambiano anche le città.
Il cambiamento a me piace, porta crescita, novità. Non sono una reazionaria. Però sono un’appassionata di storia e credo che nessun cambiamento (sia esso di una città o di un essere umano) possa prescindere davvero da ciò che siamo stati, dalla sua storia. Nessun cambiamento “sano” possa esistere calpestando la storia e fregandosene delle conseguenze.

In questo momento sto leggendo un libro bellissimo e molto interessante “La strada delle legioni. L’Inghilterra coast to coast lungo le vie romane”, un viaggio lungo il Vallo di Adriano di Paolo Ciampi, in cui la mente scorre a ruota libera.
In un capitolo si affronta il tema della città e del pensiero che DOVREBBE sempre esserci dietro a ogni progetto di costruzione/ricostruzione/riforma di una città.
Perché la città è viva ma vive grazie a noi, che la viviamo, la costruiamo, la pensiamo e “agiamo in sue veci”.
Il come noi pensiamo alla città che viviamo, alla città che vogliamo abitare, dirà molto di quello che lei diventerà davvero nel futuro.
Siamo sicuri di volere città che guardano solo al futuro (ma quale futuro?) senza poggiare bene i piedi sul loto passato, sulla loro storia?
Siamo sicuri che la cosa che davvero più ci interessa è essere circondati da centri commerciali e mega grattacieli (magari bellissimi, per carità), togliendo spazio alle attività storiche, quelle dove magari andavamo coi nonni il sabato mattina, a prendere un caffè, a comprare un paio di guanti o – più avanti – a bere una birra prima della partita?

La città, come la vita, vanno avanti. Guardarsi solo alle spalle non serve. Però quello che c’è dietro è quello che siamo. E sputarci sopra, fregarcene e far finta non esista non mi pare la scelta giusta. E non trovo giusto che i nuovi grandi progetti di riforma delle città passino sopra la loro storia come uno schiacciasassi.

La gentrificazione viene spesso demonizzata. Però quello è un processo naturale, lento, che vede le città modificarsi sotto nuove spinte demografiche. Difficilmente però quei processi calpestano la storia, spesso invece la abbelliscono. Perché trasformare Karlin (Praga8) da una periferia un po’ malfamata in un bel quartiere vivibile e vissuto da giovani e famiglie non è successo in breve tempo e non ha distrutto quello che Karlin era, le ha dato nuova linfa e l’ha abbellita (come il progetto di locale e centro di aggregazione costruito sotto il viadotto della ferrovia. Non ha distrutto nulla: ha aggiunto nuova linfa.
Perché oggi NoLo (per parlare di un qualcosa che succede a casa mia) è meglio di quello che era solo 5 anni fa, un Meltin’Pot di culture e anagrafiche che porta in una zona che era un po’ abbandonata nuovi progetti e nuove idee, insediandosi accanto a quanto già c’era.

Ma a casa mia succede anche che un negozio storico come Guenzati, dove da piccola passavo spesso coi miei nonni (il nonno era appassionato dei loro cappelli), chiuderà per far posto ad un altro albergo, cosa di cui a Milano proprio non sentivamo la necessità. Si sente invece sempre più la necessità di recuperare la nostra storia, l’essere vero di tanti quartieri che sta venendo sacrificato al Dio delle Catene gastronomiche o tessili.

E così capita anche a Londra.
Che poi per tutti voi Londra sarà una città mutevole per sua stessa natura. Ma in realtà al di fuori del centro storico, c’è tanta vita storica che respira nei quartieri. Pub, negozi e attività che stanno dove stanno da generazioni e che hanno tanto a che fare con la vita stessa del quartiere, della comunità.
Poi d’improvviso un giorno qualcuno decide (alle spalle di quelli del quartiere e fregandosene delle loro voci che urlavano di no) che uno stadio va spostato. Che ce n’è uno più bello (a detta loro, che poi proprio anche no), più moderno, nuovo. Che abbiamo fatto le Olimpiadi e questo stadio qualcosa deve fare dopo quel mese.
Peccato che non era proprio attaccato al quartiere, anzi era proprio in un quartiere che non esisteva, non lì ma intorno, e che oggi è il nuovo che avanza (aiuto, fatemi scappare). Un nuovo che avanza fatto solo di catene, catene di pub, catene di negozi vari, catene…

Spostare lo stadio per alcuni di voi vorrà dire poca cosa. Forse non sapete cosa voglia dire nel Regno Unito una partita di calcio. La quantità di gente che si mobilita, che si sposta, che magari va anche vicino allo stadio pur non avendo il biglietto. Si va nel pub prima, si va nel pub dopo, si mangia nei vari Fish ‘n Chips o simili di zona, ecc.
Due luoghi di ritrovo storici domenica spariranno per sempre. Uno chiude, l’altro verrà fagocitato da una catena.
Grandi opere, grandi progetti e grandi menti hanno pensato questo. Non è stato un processo sano, venuto dalla gente, naturale. È stata una forzatura. Qualcosa di innaturale che crea solo traumi e non crescita, non bellezza.
Non credo davvero che le persone vogliano città come è oggi Stratford. Credo che le persone vogliano molti più West Ham, molte più casette e negozietti e meno centri commerciali e grattacieli. Voglio crederlo.
Prima o poi si tornerà indietro, si capirà che non è sostenibile il modello che i grandi costruttori ci stanno imponendo e riusciremo in qualche modo a invertire la rotta.

Sperando non sia troppo tardi.


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