I non-luoghi come luoghi dell'anima

Qualche giorno fa Giovy (di Emotion Recollected in Tranquillity) ha in qualche modo risvegliato in me la voglia di scrivere questo post. 

Lo dico spesso, lei mi ha ispirata e mi ha aiutata ad appassionarmi al Regno Unito e a capirlo meglio. 

In questo caso però non si parla di Regno Unito ma di qualcosa di più filosofico: di stati dell’anima. 


Da poco ha inaugurato la metro 4 a Milano il cui capolinea è l’aeroporto. Il giorno dell’inaugurazione io parevo una bambina il giorno di Natale: così felice ed emozionata di riuscire ad arrivare in metro dentro l’aeroporto (per altro da casa mia sono non più di 10 / 15 minuti) e con un’amica mi sono ritrovata a passeggiare per Linate (tra l’altro ristrutturato di recente) felice come una Pasqua! 

Io amo i non-luoghi. I luoghi di passaggio, di incontro, che non si definiscono per quello che sono ma più per quello che rappresentano e per le emozioni che ci vivono dentro. 


Le stazioni sono i miei preferiti, non arrivo all’amore per i treni di mio cugino (che da piccolo si faceva portare alla stazione da mio nonno e conosce(va) ogni tipologia di locomotiva e vagone.). Io amo il luogo in sé, le vibrazioni che mi trasmette. Amo le piccole stanzioncine a due binari di piccoli paesini sparsi nel mezzo della campagna, amo le grandi stazioni dove ci si perde e ci si sente piccolissimi. Mi piace vedere come le stazioni sono declinate nei vari luoghi che visito, come vengono vissute e trattate. Amo il loro essere chiassose, sporche, incasinate. Il loro raccattare umanità. E se è vero che spesso le grandi stazioni raccolgono i disperati e possono essere luoghi pericolosi, a me non fanno quasi mai paura, come se l’essere luoghi di passaggio in qualche modo le rendesse più sicure ai miei occhi. 

Di certo amo profondamente la stazione centrale di Milano, la sua imponenza marmorea, le sue linee dritte e schiette e il suo intersecarsi di povertà e lusso che è un po’ un preludio alla città stessa, una contraddizione continua che la rende interessante e mai banale. 

Una delle mie preferite però, resta quella di Berlino. Un’opera architettonica di vetro e acciaio che fa sentire piccoli, insignificanti e racconta la rinascita di quella città che amo così tanto e che così tanto mi restituisce ogni volta che ci torno. I livelli, l’intreccio di viaggiatori di lungo corso, pendolari, turisti e gente di passaggio, quell’essere enorme ma invisibile nel paesaggio, c’è molto di Berlino anche nella sua stazione. 


I non luoghi di eccellenza sono gli aeroporti.

A un’occhiata superficiale potrebbero sembrare tutti uguali ma non lo sono, e non solo perché ci sono differenze anche sostanziali ai controlli di sicurezza o perché in uno sono attrezzati per i self check-in e in un altro ti devi fare ottomila ore di coda che non capisci perché. 

Gli aeroporti sono diversi nella loro stessa essenza, ogni aeroporto parla del luogo nel quale è, basta saperlo ascoltare. In UK, ad esempio, troverete prima e dopo i controlli pub degni di nota: una certezza. 

Ci sono aeroporti colorati e silenti, come Madrid Barajas T4: oggi ci sembra la norma ma quando lo inaugurarono era uno dei primi a non dare in continuazione annunci circa partenze e ritardi vari. Tanto che ogni tot partiva il messaggio che ricordava ai viaggiatori di guardare i tabelloni!  

Quell’aeroporto per me è quasi casa, ci ho passato diverso tempo quando ero in erasmus in Spagna (vicino Madrid) e adoravo passarci il tempo. Avevo i miei luoghi preferiti, i miei riti pre partenza. Ora è tanto che non lo bazzico e forse dovrei dire che al momento il mio preferito e Orio. L’aeroporto di Orio al Serio è veramente un bellissimo non-luogo. Ci sono ristoranti e bar dove fermarsi a bere che non sono niente male, una sala fumatori senza soffitto che permette di vedere un po’ di cielo. Io ci vado sempre volentieri e ormai ha sostituito Barajas come aeroporto di riferimento per me. 



Ma ci sono luoghi che pur non essendo veri e propri non-luoghi, lo diventano. Ad esempio certe piazze

Alexander Platz è un esempio perfetto! La piazza è immensa, interrotta qua e là da palazzi, stazioni, rotaie e centri commerciali. Non la si riesce a percepire davvero come piazza nella sua interezza, perché un’interezza non ce l’ha. C’è l’Alex coi giardini, le prospettive sulla torre della televisione e poi c’è quella più caotica della stazione dei treni, dell’orologio del Mondo e dei palazzi sovietici. Ma è lo stesso luogo, pur essendo diverso. Si è qui ma ci si sente nel Mondo, piccoli circondati da grandezza (bellezza e bruttezza, brutalismo ed efficienza). 


In questi luoghi che contengono moltitudini di persone e pensieri io mi ricarico, mi ri-centro. Come se essere piccola, un niente insieme ad altri niente, mi portasse dentro la parte più reale di me. Per questo amo frequentare questi luoghi, scoprirli e trovarmici dentro. 


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