La parmigiana e la rivoluzione
Nutro una forte idiosincrasia verso chi si dimostra di mentalità ristretta. Soprattutto sul cibo. Da italiana, nata e cresciuta in quel di Milano, inizio a stancarmi di tutte quelle persone secondo le quali le radici di gusto e tradizione risiedono solo in alcuni villaggi del sud Italia.
Amo il mio Paese. Tutto. Ho amato il pesce in Sicilia, salame - fave e vino dei Castelli, il porcellino in Sardegna (con 40 gradi all'ombra). Ho adorato i mille gusti di gelato al cioccolato di Alba, il risotto alla milanese di mio nonno, la casoela, gli schlutzkrapfen, la polenta alla valdostana, la carne di Carrù e il pesto ligure.
I sapori, veri, onesti e sinceri ci sono dappertutto.
E non solo in Italia.
Ho amato le zuppe in Inghilterra, la New England Soup a Boston, l'hamburger di NYC, il currywurst di Berlino. Per non parlare di tutta la bontà messa in bocca girovagando per Spagna e Portogallo.. (ah, le navajas...).
Amo il cibo. Cerco sempre di mangiarlo buono. Provo ad assaggiare e comprare solo in base alla stagionalità e cerco di comprare solo prodotti del luogo (inteso come Paese) in cui mi trovo.
Fatte tutte queste premesse ci sono stati dei passaggi, nel libro di Donpasta, che mi hanno infastidita. Molto. Primo fra tutti l'idea che l'unico cibo buono e degno di nota sia quello del sud (se poi viene dalla Puglia anche meglio..). Va bene, facciamo anche un po' di tara perché per ognuno la propria casa, le proprie origini, i sapori di cui era circondato nel'infanzia, sono quelli che ci restano nel cuore. Va bene. Però a tratti lui è davvero eccessivo.
E poi tutta la parte dedicata al biologico, slowfoodiano, a me ha dato i nervi. Apprezzo il cibo contadino, potessi farei la spesa solo in campagna o al mercato. Non posso. E quando ho letto la frase "non è facile far capire ad un operaio che guadagna 1.000 euro al mese perché dovrebbe comprare cibo biologico" il sangue mi è salito al cervello. Scusate ma proprio non ce l'ho fatta. Non è questione di FAR CAPIRE, il povero operaio (che poi potrei essere tranquillamente io), sa benissimo che comprare una mela prodotta senza (e anche qui, comunque, parliamone) l'uso di pesticidi sicuramente aiuterà tantissimo il suo bambino a vivere più sano... Il problema è che poi mangia solo quella mela. Perché, i conti bisogna farli, oltre che con il pensiero e le belle idee, anche con il portafoglio.
La mia non vuole essere una visione cinica. Non voglio dire che siamo e saremo eternamente costretti a mangiare merda solo perché non abbiamo i soldi. Voglio dire che cibo buono, degnamente buono, lo si trova anche al supermercato. Che ognuno cerca di barcamenarsi al meglio con quello che ha e che può permettersi. Che io amo la cucina anche se non uso solo olio extravergine microfiltrato biologico fatto dal contadino spremendo olive una ad una. Ci provo, cerco di comprare il meglio che il mio budget permette e di cucinare con l'anima e l'amore ogni singolo giorno.
Ed è questo l'importante, ed è questo che tutti gli operatori del settore food dovrebbero tenere presente. Perché Slow food sarà molto figa, Eataly una gran bella iniziativa, però poi c'è la gente. La gente "normale", il popolino, che ogni giorno mette in tavola cose meravigliose con quello che ha, che può. E lo fa da millenni, ogni giorno. Perché quello che per voi oggi è oro (e fate pagare più dell'oro) è sempre stato cibo povero. Cibo di contadini. E la cosa mi fa arrabbiare anche di più.
Poi, per carità, ci sono bellissimi racconti e belle realtà, raccolte nel libro. Incontri con persone che in carcere trovano riscatto anche grazie al cibo, comunità rurali che cercando di mantenere viva la loro cultura, mondo multietnico che si fonde a realtà piccole e di riscopre, radici ben piantate e piante volanti. Buona musica e buon cibo, ricette interessanti.
Vale la pena, davvero.
La parmigiana e la rivoluzione
Donpasta
Ed. Stampalternativa
pag. 176
Euro: 14,00 €
Per chi: ama il cibo e la buona musica
Amo il mio Paese. Tutto. Ho amato il pesce in Sicilia, salame - fave e vino dei Castelli, il porcellino in Sardegna (con 40 gradi all'ombra). Ho adorato i mille gusti di gelato al cioccolato di Alba, il risotto alla milanese di mio nonno, la casoela, gli schlutzkrapfen, la polenta alla valdostana, la carne di Carrù e il pesto ligure.
I sapori, veri, onesti e sinceri ci sono dappertutto.
E non solo in Italia.
Ho amato le zuppe in Inghilterra, la New England Soup a Boston, l'hamburger di NYC, il currywurst di Berlino. Per non parlare di tutta la bontà messa in bocca girovagando per Spagna e Portogallo.. (ah, le navajas...).
Amo il cibo. Cerco sempre di mangiarlo buono. Provo ad assaggiare e comprare solo in base alla stagionalità e cerco di comprare solo prodotti del luogo (inteso come Paese) in cui mi trovo.
Fatte tutte queste premesse ci sono stati dei passaggi, nel libro di Donpasta, che mi hanno infastidita. Molto. Primo fra tutti l'idea che l'unico cibo buono e degno di nota sia quello del sud (se poi viene dalla Puglia anche meglio..). Va bene, facciamo anche un po' di tara perché per ognuno la propria casa, le proprie origini, i sapori di cui era circondato nel'infanzia, sono quelli che ci restano nel cuore. Va bene. Però a tratti lui è davvero eccessivo.
E poi tutta la parte dedicata al biologico, slowfoodiano, a me ha dato i nervi. Apprezzo il cibo contadino, potessi farei la spesa solo in campagna o al mercato. Non posso. E quando ho letto la frase "non è facile far capire ad un operaio che guadagna 1.000 euro al mese perché dovrebbe comprare cibo biologico" il sangue mi è salito al cervello. Scusate ma proprio non ce l'ho fatta. Non è questione di FAR CAPIRE, il povero operaio (che poi potrei essere tranquillamente io), sa benissimo che comprare una mela prodotta senza (e anche qui, comunque, parliamone) l'uso di pesticidi sicuramente aiuterà tantissimo il suo bambino a vivere più sano... Il problema è che poi mangia solo quella mela. Perché, i conti bisogna farli, oltre che con il pensiero e le belle idee, anche con il portafoglio.
La mia non vuole essere una visione cinica. Non voglio dire che siamo e saremo eternamente costretti a mangiare merda solo perché non abbiamo i soldi. Voglio dire che cibo buono, degnamente buono, lo si trova anche al supermercato. Che ognuno cerca di barcamenarsi al meglio con quello che ha e che può permettersi. Che io amo la cucina anche se non uso solo olio extravergine microfiltrato biologico fatto dal contadino spremendo olive una ad una. Ci provo, cerco di comprare il meglio che il mio budget permette e di cucinare con l'anima e l'amore ogni singolo giorno.
Ed è questo l'importante, ed è questo che tutti gli operatori del settore food dovrebbero tenere presente. Perché Slow food sarà molto figa, Eataly una gran bella iniziativa, però poi c'è la gente. La gente "normale", il popolino, che ogni giorno mette in tavola cose meravigliose con quello che ha, che può. E lo fa da millenni, ogni giorno. Perché quello che per voi oggi è oro (e fate pagare più dell'oro) è sempre stato cibo povero. Cibo di contadini. E la cosa mi fa arrabbiare anche di più.
Poi, per carità, ci sono bellissimi racconti e belle realtà, raccolte nel libro. Incontri con persone che in carcere trovano riscatto anche grazie al cibo, comunità rurali che cercando di mantenere viva la loro cultura, mondo multietnico che si fonde a realtà piccole e di riscopre, radici ben piantate e piante volanti. Buona musica e buon cibo, ricette interessanti.
Vale la pena, davvero.
La parmigiana e la rivoluzione
Donpasta
Ed. Stampalternativa
pag. 176
Euro: 14,00 €
Per chi: ama il cibo e la buona musica
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